INTERESSANTE CONSIDERAZIONI DEL CONSIGLIERE NAZIONALE A.N.FOR
ITALO FRANCESCHINI A 100 anni del Rdl SERPIERI, 3267/1923.
LA PRIMA GRANDE LEGGE A TUTELA DEL SUOLO
CONSIDERAZIONI DA LEGGERE FINO IN FONDO. A 100 ANNI DALLA LEGGE SERPIERI, LA PRIMA GRANDE LEGGE A TUTELA DEL SUOLO
La natura è coerente con se stessa, non con i nostri intendimenti. La natura è fredda e crudele, mira ai suoi fini nutrendosi anche delle sue vittime. Che poi sono vittime dei nostri progetti (o “non progetti” nel caso di interventi non programmati)
E’ manomissione l’aggressione selvaggia, perché non è autorizzata, non perché non si possa fare; ma anche la programmazione che operiamo costituisce comunque manomissione. Anche ciò che “non facciamo” costituisce manomissione. A volte si sente dire “non è mai stato fatto niente, ecco perché è franato” invocando comunque un intervento. Insomma, le nostre opere, o “non opere”, hanno necessità di essere seguite, curate e/o custodite, nella loro destinazione ma anche oltre. Si chiama ‘gestione’.
Vi sono aree o zone che non andrebbero popolate, ma di fatto lo sono, per vicende storiche e sociali ormai note ed è noto anche che le aree densamente popolate sono soggette a disastri. Con il tempo le opere fluviali si scalzano, le brentane travolgono argini e ponti; gli alberi assolvono alla funzione idrogeologica ma, su certi versanti, costituiscono anche un peso che contribuisce al loro cedimento; le montagne crollano, certo per causa diretta o indiretta nostra, ma anche per leggi abiotiche e i disastri nel nostro paese non si contano: Valtellina 1987, Stava 1985, per non parlare delle argille mioceniche del nostro Appennino, ogni anno le regioni centrale (ad es. le Marche) sono alle cronache per frane e scivolamenti a valle di interi versanti. E le Dolomiti? Anche loro perdono pezzi e non perché ci costruiscono.
Le frane d’Italia sono ormai mappate e stramappate: sappiamo dove sono le paleofrane, le frane storiche, le aree soggette a franamenti periodici e comunque la cosiddette aree a rischio idrogeologico, ciononostante . . . ogni volta ci risiamo. L’Italia è dunque un paese che ama premiare gli interventi postumi e piangere le sue vittime.
E’ a questo punto che l’ANFor può dire qualcosa: nel 2023 ricorrono i 100 anni dalla Legge Serpieri, la prima legge organica sulla difesa del suolo, la legge che ha imposto il vincolo idrogeologico, vincolo che, in tutta la penisola, è stato studiato, valutato e iscritto dal Corpo Forestale dello Stato. E da chi altri? Non vogliamo ricordare ciò che ha comportato l’applicazione del Rdl 3267/1923, ne abbiamo parlato per anni, incluso i nostri due ultimi calendari, ma vogliamo ancora sottolineare l’aspetto sociale di quella legge e della legge sulla montagna del 1952. Con i nostri cantieri abbiamo contribuito a mantenere popolata la montagna, con le assunzioni di operai avventizi fornivamo un reddito integrativo utile per una vita dignitosa alla popolazione rurale e, nel contempo, a mantenerla quale baluardo contro ogni accenno di problematica territoriale. La pattuglia di Guardie Forestali inoltre valutava e considerava gli argini e conosceva i frontisti invitandoli a riparare per tempo e con poca fatica, quello che poteva essere l’inizio di un dissesto. Non costava nulla e non succedeva nulla e, se nulla succedeva, noi nulla facevamo. Forse per questo ci hanno levati? La prevenzione, di cui tutti si riempiono la bocca oggi, non è visibile, mentre sono più visibili le ruspe della protezione civile che spingono via le auto travolte dal fango e accumulano le macerie.
A noi, che abbiamo toccato con mano, quotidianamente, le piccole cose che -sapevamo- evitavano lo scatenarsi di quel fenomeno che si chiama dissesto, fa male vedere lo scempio e comprendere che avrebbe potuto non essere. Così ci chiediamo cosa possiamo fare e, da quei tecnici che eravamo, possiamo dire che gli eventi a cui eravamo abituati non sono più quelli: i tempi di corrivazione sono cambiati e così i risultati di quelle formule che avevamo imparato a quantificare. Si dirà che è cambiato il clima, bene, se sappiamo questo, sappiamo cosa fare, quali piante mettere nei vivai e
prepararci per soddisfare ogni nuova esigenza. Ma noi non abbiamo vivai e sarebbe interessante sapere su quanti e quali vivai disponiamo oggi, pubblici o privati che siano. Tutti parlano di piante da mettere, anche dal nord Europa ci chiedono piante mediterranee. Ma il nostro paese ha soppresso prima l’ASFD e poi il CFS ed oggi chiede milioni di piante.
Noi dell’ANFor cominciamo dunque con il dire che bisogna ripristinare almeno parte dei vivai di un tempo, dare lavoro alle persone e produrre le essenze che occorrono per ogni pianificazione futura.
Noi dell’ANFor, che conosciamo i primi segni del dissesto, cominciamo con lo scrivere formalmente alle amministrazioni comunali e segnalare le piccole crepe o i principi di scalzamento o i primi stadi dell’erosione, o i tratti di sponde fluviali bisognosi di intervento immediato.
Perché è vero che ci sono i piani di bacino ma sembra che nessuno li guardi più. E’ uno dei mali del nostro paese: fatto il piano ci congratuliamo e ce lo dimentichiamo.
Dobbiamo dunque, forti della nostra decennale competenza (buttata alle ortiche con la riforma Madia), scrollare le pubbliche amministrazioni e/o i media e indicare le problematiche prima che diventino tali.
Oppure possiamo fare anche noi gli “Angeli del fango”, è senza dubbio meglio che restare con le mani in mano. Ma noi, che le cose le ‘vedevamo’ prima, possiamo dare il nostro contributo conoscitivo.
Italo Franceschini Consigliere Nazionale A.N.FOR